Io sono affezionato a Pippo, il mio primo orsetto di peluche. È stato per anni l'eroe di casa. Mi proteggeva dall'uomo nero sotto il letto, dai mostri che vivevano nell'armadio e persino dai bulletti della scuola. Assomigliava vagamente a Pakkun, la mascotte di Paul e Nina, l'omonimo cartone animato che raccontava di due ragazzini che viaggiavano in un mondo parallelo. Pippo si chiamava così perché non riuscivo a dire Pakkun ed era difficile per un bambino di 4 anni spiegare ai genitori che avevo scelto il nome di un personaggio di un anime che andava in onda su un emittente televisivo locale, che prendeva solo a casa della nonna. Arrivò poi il Grande Mazinga a farmi compagnia. Era bellissimo e gigante, con l'astronave che usciva dalla testa pronta ad atterrare sulla tavola apparecchiata. Posso dire con fierezza di aver mangiato un sacco di pastasciutta con Tetsuya, il pilota del mitico robot di Go Nagai. Non so che fine abbia fatto il Mazinga, con gli anni i miei giochi scomparivano. Alcuni finivano in cantina, altri nelle ceste della raccolta per i bambini della Casa Famiglia del mio paese. I più belli se li è presi mio cugino e sono certo che a distanza di anni li conserva ancora da qualche parte, purtroppo non me li vuole più ridare, perché è un avido accumulatore seriale. La mia memoria di allora è racchiusa in un paio di scatole. Lì ci sono ancora pezzi di Micronauti, un Gundam senza pugni, un Daitarn decapitato e quel robot fantastico della serie Yattodetaman, che mi piaceva tantissimo perché appariva sempre accompagnato da un cavallo alato. Ogni mese un eroe arrivava dal Sol levante, pronto a distrarmi dai doveri di studente. ma solo uno è rimasto sulla mia libreria: Pippo. Se quando eravate bambini anche a voi hanno sottratto dei giochi o semplicemente volete far girare la ruota del tempo non dovete perdere la mostra Manga Heroes alla Fabbrica del Vapore di Milano. Dicono ci sia una bacchetta di Creamy funzionante e un Astroboy in attesa di essere risvegliato. E lo so che uscirete dicendo: "Io questo ce l'avevo!" GiapponeTVB Manga Heroes. Da Osamu Tezuka ai Pokémon 9 ottobre 2021 – 2 gennaio 2022 Fabbrica del Vapore, Spazio Ex-Cisterne, Milano Via Giulio Cesare Procaccini, 4 Orari da martedì a domenica 9.30 – 19.00 giovedì orario prolungato 9.30 – 21.30 lunedì chiuso fabbricadelvapore.org
È il mio ultimo giorno a Tokyo, dopo essere stato bistrattato e abbandonato dalla mia guida personale sul ponte di Harajuku (QUI), ho ancora poche ore prima che la capitale del Giappone si trasformi in zucca, ma soprattutto un solo un obiettivo: comprare i souvenir per parenti e amici. Le mie zie vogliono delle stoffe per cucire chissà che cosa, i miei cugini sognano i coltelli Miracle Blade, anche se non sanno che sono di origine tedesca però “made in China” e poi c’è la mia ex compagna di viaggio, Lady Disturbia (QUI una delle sue avventure) che pretende almeno 10 doni dal Sol levante. Non ho moltissimo tempo. Ormai ho rinunciato a trovare qualcosa per me: ho il piede troppo grande, le spalle troppo larghe, qui una XL equivale a una M striminzita. Persino i pantaloni trendy di Uniqlo che ti arrivano sopra alle caviglie, su un occidentale si trasformano in pinocchietti fuori moda. Ho tentato anche di prendermi un paio di Vans tarocche color fetta di anguria, ma non esisteva una numerazione normale, andavano dalla S alla XL. Tokyo è veramente la capitale del souvenir, il problema è che mentre cammini verso “quel negozietto che vende le calamitine” inizi a sbavare dietro a vetrine che non avevi ancora notato. Sono stato tentato da una camicia di una marca famosa solo qua, che io chiamerò simpaticamente Giucas Casella, perché mi ha ipnotizzato con la sola imposizione delle maniche. “Sumimasen commessa con una tinta di capelli strana, avete una taglia consona al mio fisico atletico?” “Yes! L size” Peccato corrispondesse a una L della Chicco. “Mi scusi dolce commessa, ma è troppo small” “Do you want M size?” Mi sa che non è tanto sveglia. Forse la tinta le ha bruciato qualche neurone. Però sono stato baciato dalla fortuna, nel camerino ho trovato una luccicante moneta da 1 Yen, così mi posso comprare un “bel niente”!! Meglio perdersi per le vie di Omotesando, magari posso fare la carità agli angoli delle strade e tra una settimana permettermi un fazzoletto usato di Comme des Garçons.Drin drin “Ciao sono Mia san, ti ricordi che abbiamo cena di addio?” “Non mi ricordavo più! Perdonami” “Dove sei?” “Sto cercando dei regalini, però non so dove andare” “Vai a Oriental Bazar a Omotesando” “Non mi piace, vendono delle cinesate e kimono sintetici che prendono fuoco se superi i 36 gradi corporei” “Allora tu risparmia, così puoi comprare qualcosa per te” Forse ha ragione la mia amica giapponese. Posso inventarmi una scusa e dire che hanno smarrito la valigia all’aeroporto. Alleggerito da questo pensiero mi sono diretto a piedi verso Shibuya. È una passeggiata immersa in boutique strane. Le vie laterali ti regalano piccole case, ragazze alla moda e fashionisti dell’ultima ora. Il tramonto rende la malinconia arancio e io non so con che colore abbinarla e poi chissà perché ogni volta che finisco una vacanza mi chiedo: “E se rimanessi?” Sicuramente diventerei povero in una settimana, un povero con degli abiti stretti e gli alluci strozzati in delle scarpe sparute. Potrei inventarmi un business e creare una linea di abbigliamento per occidentali che vivono in Giappone. Non andranno più in giro con i polsini ai gomiti e le giacche sbottonate, anche loro riusciranno a camminare a testa alta nelle stazioni. Poi ahimè ho fatto i conti con la realtà. Qui se sgarri di un solo giorno in più rispetto ai tre mesi previsti dal Visto turistico ti vengono a prendere con gli elicotteri e ti rimandano al mittente su un volo in terza classe che fa sette scali, giusto perché devono farti soffrire fino all’ultimo. Mia san, il suo fidanzato e un altro mio amico giapponese mi stanno aspettando davanti alla statua di Hachiko. E io invece di arrivare puntuale sono impazzito al Disney Store davanti ai peluche di Stitch in Kimono. Mi sa che se rimango qui, altro che clochard. Regredisco e m’internano su qualche isola sperduta con delle bambole da pettinare. Drin drin “Dove sei???” “Giuro che arrivo! Sto spendendo i miei ultimi spiccioli all’Ufo Catcher. Voglio vincere un giocattolino” “Tu pazzo! Cosa vuoi mangiare?” “Okonomiyaki” “Sicuro che non vuoi Ramen?” “No!” “Preferisci Sushi?” “No” “Allora perché vuoi Okonomiyaki?” “Mia san hai sbagliato anche tu la tinta?” La mia ultima a cena a Tokyo. Abbiamo scelto una bettola, dove il proprietario stava scopando via dei topi dall’ingresso. Pensava di non essere visto. Entriamo e speriamo di non prendere la leptospirosi o fuggiamo al Mc Donald’s più vicino? Ma chi se ne frega, mal che vada morirò fra atroci sofferenze nel mio hotel da ricconi e lascerò disposizioni funerarie al Concierge. Che il mio corpo venga fatto cremare e le ceneri sparse nel negozio 6%Dokidoki di Harajuku, il tempio del decoraboy, che sono la risposta maschile alle lolite giapponesi. La mia anima vagherà fra accessori color arcobaleno, calze fluorescenti e unicorni invisibili. “Vuoi Kaki?” “Grazie Mia san, ma preferisco le ostriche fritte” “Ma si chiamano Kaki” “E i cachi come si chiamano?” “Anche quelli Kaki” “Ma hanno lo stesso nome?” “Come voi in Italia con parola – pero – però” “0_O” Ho mangiato 4 porzioni abbondanti di Okonomiyaki. E fa niente se la cucina sembrava la fogna di Bombay e i topi fuori dal locale ballavano l’Alligalli, fa niente se le bacchette avevano l'aria di essere state ciucciate da almeno 50 persone e l’acqua naturale puzzava di cloro, quel che conta è la compagnia. Perché almeno hai qualcuno che può portarti a fare una lavanda gastrica al Pronto Soccorso. :-P Ultimo giro da Donquijote il grande negozio supremo dove ti rubano la coscienza e t’impiantano quella di un calzino. In un secondo sono riuscito a comprare tutti i souvenir per i miei parenti accattoni, perché mi sentivo in colpa a tornare senza un regalino. E’ che cerco di allungare il tempo dell’addio con qualsiasi scusa. Il tempo di comprare le sigarette, il tempo di fumarne una, il tempo per fare pipì da Starbucks! E invece mi tocca salutare. Mia san ha iniziato a piangere. In questi anni gli sono stato attaccato come una cozza, cercavo di strapparla a quelle regole giapponesi che le impongono un’ etichetta rigida. L’ho obbligata a dire di No, a prendermi sottobraccio come due comari quando passeggiavamo per le strade di Shinjuku, l’ho convinta, senza traumatizzarla, ad esternare i suoi sentimenti e ogni tanto l’ho messa a disagio. Mi ha abbracciato e mi ha dato un bacio sulle orecchie. Eppure le avevo spiegato che di solito ci si bacia sulle guance. “Mia san ricordati di non mangiare in tre giorni il vasetto di Nutella da 630 grammi che ti ho portato” Questo è stato il mio addio. Poi lei e il suo fidanzato hanno iniziato a camminare verso lo Shibuya Crossing tenendosi per mano. Non lo avevano mai fatto. Forse qualcosa è cambiato. La mia piccola rivoluzione giapponese è iniziata con un gesto d’amore oppure sono io che smesso di guardarli a testa in giù. :-P Neanche il tempo di asciugarmi il moccio dal naso che sono stato distratto da i Gacha Gacha, le famose macchinette che dispensano pupazzetti in ogni angolo del Giappone. C'è la linea di portachiavi con i gatti che vomitano! Chi se ne frega degli addii! :-P Gtvb
È il mio ultimo giorno a Tokyo, dopo essere stato bistrattato e abbandonato dalla mia guida personale sul ponte di Harajuku (QUI), ho ancora poche ore prima che la capitale del Giappone si trasformi in zucca, ma soprattutto un solo un obiettivo: comprare i souvenir per parenti e amici. Le mie zie vogliono delle stoffe per cucire chissà che cosa, i miei cugini sognano i coltelli Miracle Blade, anche se non sanno che sono di origine tedesca però “made in China” e poi c’è la mia ex compagna di viaggio, Lady Disturbia (QUI una delle sue avventure) che pretende almeno 10 doni dal Sol levante. Non ho moltissimo tempo. Ormai ho rinunciato a trovare qualcosa per me: ho il piede troppo grande, le spalle troppo larghe, qui una XL equivale a una M striminzita. Persino i pantaloni trendy di Uniqlo che ti arrivano sopra alle caviglie, su un occidentale si trasformano in pinocchietti fuori moda. Ho tentato anche di prendermi un paio di Vans tarocche color fetta di anguria, ma non esisteva una numerazione normale, andavano dalla S alla XL. Tokyo è veramente la capitale del souvenir, il problema è che mentre cammini verso “quel negozietto che vende le calamitine” inizi a sbavare dietro a vetrine che non avevi ancora notato. Sono stato tentato da una camicia di una marca famosa solo qua, che io chiamerò simpaticamente Giucas Casella, perché mi ha ipnotizzato con la sola imposizione delle maniche. “Sumimasen commessa con una tinta di capelli strana, avete una taglia consona al mio fisico atletico?” “Yes! L size” Peccato corrispondesse a una L della Chicco. “Mi scusi dolce commessa, ma è troppo small” “Do you want M size?” Mi sa che non è tanto sveglia. Forse la tinta le ha bruciato qualche neurone. Però sono stato baciato dalla fortuna, nel camerino ho trovato una luccicante moneta da 1 Yen, così mi posso comprare un “bel niente”!! Meglio perdersi per le vie di Omotesando, magari posso fare la carità agli angoli delle strade e tra una settimana permettermi un fazzoletto usato di Comme des Garçons.Drin drin “Ciao sono Mia san, ti ricordi che abbiamo cena di addio?” “Non mi ricordavo più! Perdonami” “Dove sei?” “Sto cercando dei regalini, però non so dove andare” “Vai a Oriental Bazar a Omotesando” “Non mi piace, vendono delle cinesate e kimono sintetici che prendono fuoco se superi i 36 gradi corporei” “Allora tu risparmia, così puoi comprare qualcosa per te” Forse ha ragione la mia amica giapponese. Posso inventarmi una scusa e dire che hanno smarrito la valigia all’aeroporto. Alleggerito da questo pensiero mi sono diretto a piedi verso Shibuya. È una passeggiata immersa in boutique strane. Le vie laterali ti regalano piccole case, ragazze alla moda e fashionisti dell’ultima ora. Il tramonto rende la malinconia arancio e io non so con che colore abbinarla e poi chissà perché ogni volta che finisco una vacanza mi chiedo: “E se rimanessi?” Sicuramente diventerei povero in una settimana, un povero con degli abiti stretti e gli alluci strozzati in delle scarpe sparute. Potrei inventarmi un business e creare una linea di abbigliamento per occidentali che vivono in Giappone. Non andranno più in giro con i polsini ai gomiti e le giacche sbottonate, anche loro riusciranno a camminare a testa alta nelle stazioni. Poi ahimè ho fatto i conti con la realtà. Qui se sgarri di un solo giorno in più rispetto ai tre mesi previsti dal Visto turistico ti vengono a prendere con gli elicotteri e ti rimandano al mittente su un volo in terza classe che fa sette scali, giusto perché devono farti soffrire fino all’ultimo. Mia san, il suo fidanzato e un altro mio amico giapponese mi stanno aspettando davanti alla statua di Hachiko. E io invece di arrivare puntuale sono impazzito al Disney Store davanti ai peluche di Stitch in Kimono. Mi sa che se rimango qui, altro che clochard. Regredisco e m’internano su qualche isola sperduta con delle bambole da pettinare. Drin drin “Dove sei???” “Giuro che arrivo! Sto spendendo i miei ultimi spiccioli all’Ufo Catcher. Voglio vincere un giocattolino” “Tu pazzo! Cosa vuoi mangiare?” “Okonomiyaki” “Sicuro che non vuoi Ramen?” “No!” “Preferisci Sushi?” “No” “Allora perché vuoi Okonomiyaki?” “Mia san hai sbagliato anche tu la tinta?” La mia ultima a cena a Tokyo. Abbiamo scelto una bettola, dove il proprietario stava scopando via dei topi dall’ingresso. Pensava di non essere visto. Entriamo e speriamo di non prendere la leptospirosi o fuggiamo al Mc Donald’s più vicino? Ma chi se ne frega, mal che vada morirò fra atroci sofferenze nel mio hotel da ricconi e lascerò disposizioni funerarie al Concierge. Che il mio corpo venga fatto cremare e le ceneri sparse nel negozio 6%Dokidoki di Harajuku, il tempio del decoraboy, che sono la risposta maschile alle lolite giapponesi. La mia anima vagherà fra accessori color arcobaleno, calze fluorescenti e unicorni invisibili. “Vuoi Kaki?” “Grazie Mia san, ma preferisco le ostriche fritte” “Ma si chiamano Kaki” “E i cachi come si chiamano?” “Anche quelli Kaki” “Ma hanno lo stesso nome?” “Come voi in Italia con parola – pero – però” “0_O” Ho mangiato 4 porzioni abbondanti di Okonomiyaki. E fa niente se la cucina sembrava la fogna di Bombay e i topi fuori dal locale ballavano l’Alligalli, fa niente se le bacchette avevano l'aria di essere state ciucciate da almeno 50 persone e l’acqua naturale puzzava di cloro, quel che conta è la compagnia. Perché almeno hai qualcuno che può portarti a fare una lavanda gastrica al Pronto Soccorso. :-P Ultimo giro da Donquijote il grande negozio supremo dove ti rubano la coscienza e t’impiantano quella di un calzino. In un secondo sono riuscito a comprare tutti i souvenir per i miei parenti accattoni, perché mi sentivo in colpa a tornare senza un regalino. E’ che cerco di allungare il tempo dell’addio con qualsiasi scusa. Il tempo di comprare le sigarette, il tempo di fumarne una, il tempo per fare pipì da Starbucks! E invece mi tocca salutare. Mia san ha iniziato a piangere. In questi anni gli sono stato attaccato come una cozza, cercavo di strapparla a quelle regole giapponesi che le impongono un’ etichetta rigida. L’ho obbligata a dire di No, a prendermi sottobraccio come due comari quando passeggiavamo per le strade di Shinjuku, l’ho convinta, senza traumatizzarla, ad esternare i suoi sentimenti e ogni tanto l’ho messa a disagio. Mi ha abbracciato e mi ha dato un bacio sulle orecchie. Eppure le avevo spiegato che di solito ci si bacia sulle guance. “Mia san ricordati di non mangiare in tre giorni il vasetto di Nutella da 630 grammi che ti ho portato” Questo è stato il mio addio. Poi lei e il suo fidanzato hanno iniziato a camminare verso lo Shibuya Crossing tenendosi per mano. Non lo avevano mai fatto. Forse qualcosa è cambiato. La mia piccola rivoluzione giapponese è iniziata con un gesto d’amore oppure sono io che smesso di guardarli a testa in giù. :-P Neanche il tempo di asciugarmi il moccio dal naso che sono stato distratto da i Gacha Gacha, le famose macchinette che dispensano pupazzetti in ogni angolo del Giappone. C'è la linea di portachiavi con i gatti che vomitano! Chi se ne frega degli addii! :-P Gtvb
C’è un quartiere a Tokyo che ti ricorda il tempo che passa, ma che è anche capace di fermarlo. Qui resistono mode e manie, i taxy sono sostituiti da cavalli alati e gli abitanti hanno poteri magici. Se esistesse la fonte della giovinezza sarebbe qui. Benvenuti ad Akihabara croce e delizia per il mio cuore. Io ci vado sempre da solo, perché Akihabara è un lavoro e non voglio obbligare i miei amici agli straordinari. Non ho mete e abitudini. Preferisco perdermi e scovare nuovi nerd o gadget misteriosi. Sulla linea Yamanote (la più semplice per arrivare nel quartiere elettrico) due ragazzi italiani mi guardavano incuriositi. Pensavano fossi un bolscevico rivoluzionario pronto a sabotare il treno per il paese dei Balocchi. “Hai visto quello che baffi?” “Sì, fanno paura” “Secondo me è straniero” Straniero?!? E voi cosa siete? Scendono insieme a me e svaniscono in un secondo in mezzo alla gente. Tendenzialmente Akihabara non cambia mai. Esternamente è un gioco di colori, insegne psicotrope e musiche di ogni tipo. Il problema è quello che succede al suo interno. Il virus del giocattolo s’insinua fra le sue scale e ipnotizza chiunque abbia una mente labile. Ad esempio la mia! Neanche il tempo di girare l’angolo ed ero finito in un piccolo negozietto che vendeva solo uccelli di plastica. Eppure ricordavo che qui c’erano robot a caro prezzo, ma ora Mazinga e Gundam sono stati sostituiti da cocorite rafferme, gabbiani in posizioni che offendono la morale pubblica, pettirossi allucinati…volete che continuo? (QUI la mia avventura con la mia amica Piera) Ma non sono l’unico che è stato ammaliato da pavoni e anatre. Altri due italiani confabulavano davanti a un pinguino imperatore. “Hai visto quello che baffi?” “Sembra che ha un topo sotto la bocca” Se avessi avuto il potere di animare questi uccelli sarebbe stata una strage, come nel film di Hitchcock. Ma io sono un ragazzo educato ed evito ogni forma di provocazione. Non so cosa voglia dirmi Akihabara, ma l’età di quelli intorno a me si è abbassata improvvisamente. Dove posso trovare i miei coscritti? Forse nel negozio dove c’era il Mazinga gigante alla porta. Prima però ho bisogno di idratarmi. :-) Le Vending Machine giapponesi appaiono sempre nel momento del bisogno. Non esistono cali di zucchero in Giappone, perché ci sono queste straordinarie macchinette pronte a risollevare la glicemia. Tranne per me. Io ho scelto una bevanda con stampato sull’etichetta un orsetto rosa. Sapeva di fragola con uno strano sentore di patatine Fonzie.Ho investito ancora 200 Yen per un’altra bibita, giusto per togliermi quel saporaccio da sedere di Unicorno, peccato avessi scelto un the freddo al gusto di pannocchia. Eppure mia nonna me lo diceva sempre: “Non c'è nulla di meglio di un bel bicchiere d'acqua fresca”. E mentre a malincuore scoprivo che il negozio con il Mazinga alla porta non c’era più, dietro di me sentivo una mandria di buoi correre. “Ferma il baffone!!!” Ecco altri bulli pronti a prendermi in giro. “Excuse me noi andare qui” Mi indicano il teatro delle AKB48. Per i disinformati, le AKB48 sono un gruppo di Idol formato da 48 ragazze, suddiviso in due sottogruppi da 24, che si esibiscono tutti i giorni ad Akihabara in un teatro costruito apposta per loro . Nel 2010 vinsero il prestigioso Good Design Awards nella categoria Network. Le idol che puoi incontrare tutti i giorni. Questa è stata la motivazione. All’inizio erano 68 membri: 48 performers + 20 riserve, nel caso qualcuna si fosse persa, come spesso accade, nella stazione di Shinjuku. :-P Adesso, come i Gremlins, si sono moltiplicate ed esistono sotto categorie di questo gruppo con il nome formato da consonanti e numeri messi un po’ a caso. Vi consiglio Tokyo Idols, un documentario su Netflix, che racconta il mondo del JPop e dei loro fan più accaniti. Ho aiutato questi italiani sperduti, facendo finta di essere uno scozzese. “Come with me” “Denkiu iu ar gentel” Forse sarebbe stato meglio abbandonarli in una scuola d’inglese. Dopo averli lasciati in balia delle loro pulsioni, sono finito per caso in un negozio di giocattoli Hentai. Perché non trovo più nulla che mi faccia ringiovanire? Che ne so una bambolina di Candy Candy, il gatto Giuliano o una Clara in carrozzina. Qui ci sono solo donne con una sesta di reggiseno, ragazzine che ammiccano e dominatrici in plastica. All’ultimo piano mi arrendo nella sala adibita agli amanti della guerra. C’è tutto per costruirsi un arsenale da terrorista o per cacciare i Predators nei boschi. Chiedo umilmente se hanno un Pikachu con l’elmetto, ma il commesso mi accompagna indispettito alla porta, non prima di aver notato la cabina dove provare le armi. C’era un giapponese che pensava di essere in un conflitto senza fine. Faceva versi assurdi e alzava le mani in segno di vittoria. Non ho una meta. Dieci anni fa inciampavi spesso in giocattoli che mi facevano sussultare “questo ce l’avevo anche io” adesso cara grazia che non rischio una body modification negli shop per i Cosplayer. La gentile commessa mi ha presentato, senza che io le chiedessi nulla, tutta la linea di baffi posticci uguali ai miei. Almeno lei è stata gentile. Poi li ha indossati e ha cercato di imitarmi. Akihabara non ha pietà. Oltre ad offrirmi bevande dolciastre mi sta mostrando quanti anni ho. Le vetrine si riempiono di oggetti a me sconosciuti, il piccolo bambino che c’è in me sta soffocando davanti a personaggi ignoti. Cosa sto cercando? Ci sono scolaresche di Dragon Ball e One Piece pronte ad occupare le mie mensole, c’è Hatsune Miku, che non appartiene a nessuno dei miei ricordi e non saprei neanche come descriverla. (È un Vocaloid sviluppato dalla Crypton Future Media e a cui è stato assegnato, come design, quello di una ragazza di sedici anni. Chiaro no? ) Forse potrei consolarmi con qualche Godzilla, ma quello appare sempre in Giappone, non viene mai a Milano a distruggere il quadrilatero della moda. :-P Finisco per inerzia in un mega store che vende di tutto. Una sorta di bazar dove i nerd potrebbero morire da quanta roba è esposta. “Excuse me do you know Ghibli?” Oggi devono avermi preso per una guida. Ovviamente la gentile signora era una italiana con un vago accento romano. “Sorry?” “Mio nipote want Ghibli” “Signora stia tranquilla capisco la sua lingua” “Parli bene l’italiano!” “Sono di Milano” “Pensavo fossi turco” “E come mai mi ha fermato?” “Hai la faccia simpatica come il kebabbaro sotto casa mia” Forse dovevo far finta di essere straniero. :-P “Senti baffone. Mio nipote vuole cose di questo Ghibli. Ma chi è Ghibli? Un giocattolo?” “Il Ghibli è un vento caldo e secco tipico della Libia, che soffia da Sud o Sud-Est. Tale vento proviene dal deserto del Sahara, trasportando quindi polvere e sabbia” (Faccia perplessa) “Vuoi dire che ho capito male? Adesso cosa faccio?” “Non si preoccupi. Gli compri un Totoro” “Sei sicuro? Ma se poi non gli piace?” “In un’altra vita ero Babbo Natale. Vedrà che il suo nipotino sarà felicissimo” “Ma ha 39 anni!” Akihabara alle sette di sera si accende come un’amante pronta ad esaudire i tuoi desideri. Fa niente se il tuo bottino è stato magro e non sei riuscito a trovare Hello Spank in un canile di poliuretano espanso, lei ti lascerà sempre con quella sensazione di essere sospeso in un abbraccio. L’occhio non vede se il cuore non vuole. Prima di rientrare alla stazione, incrocio di nuovo la signora romana con il suo chiassoso gruppo vacanze. Inizia ad agitare le mani. “Baffone grazie!! Ho spedito una foto a mio nipote. È felicissimo!” Akihabara oggi mi ha insegnato che questo può essere un ricordo migliore di un giocattolo a buon mercato. Gtvb
Scordatevi gattini di ceramica con la zampina alzata, buttate le sorpresine Kinder e mettete in soffitta tutti i ninnoli della nonna.Bene. Avete fatto spazio sulla mensola della sala?Sono in vendita in Giappone nelle Capsule Toy gli Yapporai, ovvero le mini figure degli ubriachi del Venerdì sera.Sono una delle attrazioni e dei problemi del Sol Levante.Orde di Salary men si riversano per strada vomitando ramen appena mangiati, ragazzine imbarazzate piangono e camminano come zombie, anziani perdono pantaloni e il senso dell'orientamento e alcuni, meno male, si addormentano tranquilli sui marciapiedi.Tama-Kyu azienda di Capsule Toy ha presentato la sua prima collezione di avvinazzati a fine Febbraio. Non ci resta che collezionarli tutti.Salutate i Pokemon è ora di acchiappare gli sbronzi in tutte le loro pose più imbarazzanti. E se non siete sazi di questo disagio allora seguite su Instagram @sleeping-tokyo la pagina ufficiale dei migliori Master "del sonno pubblico" e dei brilli più creativi d'oriente.Voi però fate gli educati, non fotografateli. :-P GiapponeTVB Foto Cover: @Sleeping.tokyo
Come in tutto il mondo, sono le periferie a rendere le città più umane.Lontani dai centri commerciali, negozi super chic e bar alla moda, le persone ritrovano un luogo più altruista.Anche a Tokyo si può respirare un aria meno elettrica. Le insegne diventano timide, i locali semplici e allegri e persino i negozi di giocattoli commuovono, perché espongono oggetti amarcord ormai ingialliti.A volte la spazzatura non viene ritirata, ma nessuno si scandalizza per qualche sacchetto per terra, perché sai già che prima o poi arriverà il camion della spazzatura.Basta aspettare.E se poi non passa?State tranquilli basta chiedere a Satoshi Araki e costruirà per un super modello iper tecnologico di camion della nettezza urbana pronto a ripulire qualsiasi strada.Ecco uno degli artisti più magici del Giappone. Anzi un Diorama Artist.Apocalittico, romantico e realista.Satoshi crea miniature dettagliatissime e le trasforma in oggetti da collezione.Le sue mani patrimonio dell'umanità.Questo il mio preferito: Pikachu indemoniato in cerca di qualche vittima.Lo potete seguire su Instagram QUI. GiapponeTVB