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TOKYO GA 3° (Finale alternativo)

Mancano poche ore e dovrò salutare Tokyo.
A questo giro mi è proprio andata bene. Ringrazio ancora Onitsuka Tiger e il Magazine Zero per questo grandissimo regalo. Ho vinto un viaggio con una foto (QUI) e coi miei racconti spero di aver trasmesso le mie stesse emozioni.
Il mio ultimo giorno nella capitale giapponese sembra non finire mai. Ho allungato le ore e mi sento come il Dottor Who, ma senza Tardis, la sua cabina telefonica che riesce a viaggiare nel tempo.
Ora cosa posso fare?
Sono davanti alla Metro di Shibuya che pare voglia inghiottirmi vivo e tutto quello che desidero è che non arrivi mai domani.
Ogni passo è un déjà-vu. Quando incrocio gli sguardi dei giapponesi per qualche frazione di secondo riconosco la loro curiosità per il mio aspetto e capisco che vorrebbero portarmi a casa per tenermi sul comodino.

La folla è sempre più densa, si stringe intorno a me e inizia a fermarsi.

Io continuo a camminare, non capisco cosa succede. Perché nessuno avanza?
Questa pazza corsa verso il treno – dalla quale tutti sembrano ritirarsi – la vincerò io. Per una volta non sbaglierò uscita e ritirerò il mio premio sotto la torre di Tokyo: verrò eletto miglior straniero dell’anno e come medaglia una bussola d’oro capace di portarmi ovunque.
E invece il mio sogno è spazzato via da un tipo che vomita come un ossesso sulle macchinette dei biglietti. Non so cosa abbia mangiato, però deve avere quattro stomaci, perché non smette di annaffiare le pareti.
Neanche un film di Noboru Iguchi sarebbe così splatter.
Ora cosa faccio? Hanno chiuso pure gli ingressi.

Tokyo
Un ragazzo paffutello mi avvicina e in un attimo la cultura dell’ospitalità giapponese sembra avvolgermi.

“Ti sei perso?”
“No. Solo che adesso devo cambiare stazione”
“Dove devi andare?”
“Ho due opzioni: Nishi-Shinjuku gochome o la fermata Tochomae”
“Sai come raggiungerla?”
“Ho lasciato delle bricioline per strada…:-P”

Non voglio passare per uno straniero in panne, così ringrazio con un piccolo inchino e mento dicendo che prenderò un taxy.
Inizio a camminare verso la stazione di Yoyogi Hachiman, il quartiere dove abitavo la prima volta che sono stato qui in Giappone. Non è molto lontana da Shibuya, è una piacevole passeggiata fra piccoli locali e casette a due piani.
Percorrere quella strada è come tornare indietro nel tempo, ancora più indietro. Mi sembra di avere ancora accanto i miei amici Michele e Alice che mi indicano la strada e mi sussurrano “ti ricordi quando venivamo a fare la spesa in questo Conbini?”.
Sono passati anni. Che malinconia.

viaggio in Giappone
Un topo blu mi blocca la strada e tutta quella uggia che stava tediando la mia mente scompare.
Che fare? Urlare come un pazzo e cercare riparo sul tetto di qualche auto o fermarmi a contemplare questo alieno spuntato dal tombino?
Poi guardo bene e scopro che è un piccolo e tenero orsetto portachiavi caduto dallo zaino della ragazza che sta camminando di fronte a me.
Qui se non hai attaccato almeno un gadget da qualche parte non puoi andare in giro.

I pupazzini sono una sorte di amuleto di protezione e alleggeriscono la vita stressante dello studente che durante la sua carriera scolastica deve studiare, pulire la classe, spesso subire bullismo, partecipare alle attività di un qualche club, superare esami e pregare di entrare in una facoltà prestigiosa perché lì è scritto il suo futuro.
I pupazzini sono appesi alle borse delle signorine giapponesi o vivono dentro le loro pochette, stretti fra un assorbente e un burro cacao rosa. Con loro ci si può confidare e aiutano la sorte per trovare presto un marito.

Mi torna alla mentre un passo di “Stupori e tremori”, il libro in cui Amélie Nothomb racconta la sua esperienza di vita in Giappone.

“Hai il dovere di sposarti, preferibilmente prima dei venticinque anni che saranno la tua data di scadenza. Tuo marito non ti darà amore, a meno che non sia matto e non c’è felicità nell’essere amata da un matto. In ogni caso, che ti ami o meno, non lo vedrai mai. Alle due del mattino un uomo esausto e spesso ubriaco tornerà da te e sprofonderà nel letto coniugale dal quale si rialzerà alle sei senza averti detto una parola. Trovi orribile tutto questo? Non sei la prima a pensarlo”

Devo avvertire la ragazza di fronte a me. Se perde il suo pupazzino porta fortuna sarà una tragedia.
È anche bruttino, mezzo spelacchiato, strabico e indossa un felpina azzurro dentifricio. Fosse stato un Bear Brick da collezione col cappero che glielo restituivo, ma siccome sono un bravo ragazzo farò questo sforzo.

mascotte giapponesi

“Sumimasen signorina, hai perso il tuo orsetto”

Quando si gira lo stupore – e anche un po’ il tremore – è stato il mio.

È un ragazzo travestito da studentessa che sicuramente era andato a Shibuya a far serata.
Ha guardato la mano che stringeva il pupazzetto e mi ha sorriso.

“Dove stai andando?”
“A casa…in hotel…alla metro…”

Tra il mio giapponese super basico e maccheronico e il suo inglese inqualificabile, sembravamo Jim Carrey e Jeff Daniels nel film “Scemo & più scemo”.
Superato l’imbarazzo per le sue gambe stranamente pelose sotto quella deliziosa divisa blu, lascio che il ragazzo mi accompagni alla stazione del treno.
Non affrontiamo i grandi temi della vita. Mi chiede se è la prima volta che vengo in Giappone, cosa mi piace di questo paese e se sono appassionato di qualcosa in particolare.
Nessuno ci guarda.
Lui cammina a testa alta, fiero nella sua uniforme scolastica.
Arrivati davanti alla stazione mi dice “grazie” e vuole che mi tenga l’orsetto.

“Non mi hai chiesto nulla sul perché sono vestito da scolara”.
“Per me stai bene così”

Non gli ho domandato neanche il nome. Mi ha salutato, si è inchinato ed è corso via, proprio come fanno le studentesse quando sono in ritardo da scuola.

L’ultimo treno arriva puntuale come al solito. È quasi fastidiosa l’efficienza giapponese, non puoi permetterti di arrivare in ritardo. Mai. Perché sennò poi il treno parte e chissà quando ripassa.
E se poi non è quello giusto? E la vita prende un altro binario che tu non volevi…Dio cosa sto pensando?

parco di Ueno
È che non riesco ad alzare la sguardo perché davanti a me c’è una coppia che sta limonando.
Sono mezzi ubriachi e stanno dando spettacolo leccandosi le guance e la punta del naso.
“Non fissarli Gabriele. È maleducazione.” Mancano pochi metri alla fermata di Shinjuku.
Poi un’onda gelatinosa attraversa il vagone.
Tutti iniziano a urlare, mi pestano i piedi senza scusarsi, impaurito cerco di alzarmi e il getto mi sorprende da dietro.
Un salaryman avvinazzato e barcollante stava allagando il vagone con rigurgiti di sake sicuramente economico.
Non riesce a trattenersi.
“Stai calmo
Gabriele. Pensa se fosse stato un pazzo terrorista con una bomba alla soia… sarebbe stato peggio.”
La mia giacca di pelle è ormai compromessa, ma quando vedo una goccia cadere sulla mia scarpa di una marca famosa limited edition esplodo.

La mia reazione è stata questa:

film giapponesi

Il treno si ferma prima che io riesca a trafiggerlo con la mia katana invisibile.
Scesi sulla banchina corriamo tutti verso i bagni. E davanti ai lavandini restiamo in silenzio a ripulirci dal vomito con dei micro fazzoletti di carta.
Nella tasca ne trovo un pacchettino di quelli che regalano in strada per pubblicizzare locali, negozi o chissà cosa. Si sbriciolano appena li usi, però piuttosto che niente.
Non era questo il finale che volevo.
Forse l’orsetto mi ha tradito. Non dovevo fermarmi a raccoglierlo, ma lasciarlo al suo destino. Io avrei guadagnato più tempo e lui sarebbe finito in un’altra casa giapponese per proteggere il suo nuovo padrone.

Gtvb

Foto Cover: Tokyo Ga - ©Wim Wenders