Quando nel 1867 salì al trono l’Imperatore Meiji, la prima cosa che volle fare era togliersi dai piedi quegli Shogun guerrafondai che non avevano fatto altro che bisticciare e darsele di santa ragione. Basta samurai e katane insanguinate. Ci voleva una rivoluzione. Riaprire il Giappone al mondo esterno e rinnovare guardaroba e architetture.
Il primo omaggio all’Era Moderna fu una torre alta dodici piani, tutta rossa, nel quartiere di Asakusa e per giunta ideata da uno straniero.
La chiamarono Ryōunkaku, il padiglione che supera le nuvole.
Opera dall’Ingegnere inglese William Kinnimond Burton, che meravigliò tutti inserendo anche il primo ascensore del Sol levante.
Correvano in massa a vedere questo edificio scarlatto che svettava sul parco di Asakusa. E siccome ai giapponesi piaceva (e piace) dare nomignoli la ribattezzarono Ju-ni-kai, torre a dodici piani.
Diciamo che non era proprio un soprannome creativo e divertente, ma a loro piaceva così.
La torre fu inaugurata nel Novembre 1890 e dopo un solo mese oltre 50.000 curiosi avevano già fatto la coda per osservare Tokyo dall’alto.
Diciamolo, fu un successo.
Ma quell’ingegnere straniero arrivato dalla Scozia aveva fatto male i suoi conti.
Aveva ottenuto la nomina come professore (non ufficiale) di ingegneria all’Università Imperiale di Tokyo grazie a un amico giapponese che aveva conosciuto a Londra.
Roba pregio.
Peccato che Burton fosse specializzato in opere idrauliche e che con i mattoncini avesse ben poca dimestichezza.
E invece fra i suoi primi incarichi ci fu proprio la realizzazione della Torre Ryōunkaku.
Così mentre girava per il paese a progettare reti idriche e sistemi di drenaggio - quello di filtrazione della sabbia di Shimonoseki, nella prefettura di Yamaguchi, funziona ancora - doveva star dietro al progetto di uno degli edifici simbolo della nuova era. Una pressione mica da poco.
Burton era un uomo bellissimo, perfetto negli abiti tradizionali giapponesi con barba e capelli vagamente hipster. Nessuno riusciva a resistergli.
Il suo fascino e le sue capacità persuasive lo rendevano credibile agli occhi dei colleghi giapponesi che non misero mai in dubbio i suoi calcoli strutturali.
Intanto aveva conosciuto una ragazza e si era sposato, ma continuava a fare il birichino con altre fanciulle che incontrava nei suoi viaggi. Ebbe una figlia da una delle sue amanti e sua moglie non la prese tanto bene, ma essendo una donna giapponese ingoiò il rospo. Sono sicuro però che gli sputasse nel piatto quando si sedeva a tavola per cenare.
Poi una scossetta di terremoto nel 1894 fece piegare la torre. E tutti arricciarono il naso.
“Non è che quel bellimbusto inglese ci sta prendendo in giro?”
Per rimettere a posto le cose, venne incaricato un team di professionisti che iniziarono una serie infinita di meeting. Perché si sa, i giapponesi sono puntigliosi e devono conoscere ogni dettaglio prima di muoversi.
Secondo me potevano tenerla un po’ storta, avrebbe fatto concorrenza a quella di Pisa, ma che ne sapevano gli ingegneri di Tokyo della torre italiana, che per costruirla ci avevano messo quasi due secoli.
Cercarono di rinforzarla con delle strutture d’acciaio. Nessun sisma l’avrebbe più fatta muovere di un centimetro, di questo erano sicuri.
Nel frattempo Burton andava in giro a fare foto.
I suoi soggetti preferiti erano i lottatori di sumo, i palazzi crollati e le condizioni delle persone dopo i terremoti.
Insieme al tipografo Ogawa Kazumasa, fondò la prima associazione giapponese per fotografi dilettanti.
Si devono a Burton molte delle immagini che ci sono in giro di vita quotidiana nel Giappone di fine 800: picnic sotto i Sakura, gite al Monte Fuji e passeggiate in città.
A un certo punto decise che era tempo di tornare alla sua terra natia. Voleva portare con sé moglie e figlia. Per convincere la consorte cercò di far leva sulla compassione. Diceva che sua madre era molto malata, che suona un po’ come la classica giustificazione che danno i bambini per non aver fatto i compiti.
E infatti la moglie non gli credette. E poi non aveva nessuna voglia di trasferirsi in un paese dove si sapeva che gli uomini giravano con la gonna e senza le mutande sotto.
Fu il destino a scegliere per loro.
Un giorno, mentre se ne stava sul balcone a guardare le belle ragazze in kimono, Burton sentì una fitta lancinante alla pancia. Era il fegato che se ne andava a puttane e non fece in tempo nemmeno a fare le valige.
Morì a Tokyo nel 1899, all’età di 43 anni, mentre sua moglie si stava limando le unghie.
Ryōunkaku, la sua opera più famosa, simbolo dell’ingresso in una nuova era per tutto il Sol levante, gli sopravvisse solo per un’altra ventina di anni.
A farla crollare fu il Grande Terremoto del Kantō del 1923.
La torre compiva 33 anni e come Cristo moriva sulla croce.
Una riproduzione fedele del Ryōunkaku, potete vederla all'Edo Tokyo Museum. Un bel posto dove conoscere la storia e l'architettura della capitale giapponese.
William Kinninmond Burton è sepolto nel raffinato cimitero di Aoyama a Tokyo. Dice una delle sue biografie, secondo me un po’ di parte, che ogni anno il giorno del suo anniversario alcune persone visitano la sua tomba e suonano e cantano melodie scozzesi. Speriamo con le mutande! :-P
Gtvb
Cover: ©OldTokyo
Immagini: ©OldTokyo/©Bakumatsuya