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MIRROR ROOM (Yayoi Kusama)

Yayoi Kusama compirà 90 anni il prossimo 22 Marzo.
Il mondo sta celebrando il suo talento grazie al documentario Kusama: Infinity di Heather Lenz.
Il film è un tripudio di arte, sofferenza e coraggio.
Nata a Matsumoto, cresciuta durante la seconda guerra mondiale in una famiglia complicata, Kusama ha subito un trauma che è stato il motore della sua carriera artistica.
Negli Stati Uniti ha cercato con tutte le sue forze di combattere contro un sistema che voleva l'artista maschio e bianco.
Depressa, talentuosa e poliedrica. I suoi quadri e le sue installazioni sono state copiate da artisti all'epoca ben più noti, Andy Warhol per citarne uno.
È sopravvissuta a tutti.
Ha sconvolto l'opinione pubblica manifestando nuda contro la guerra in Vietnam, il suo grido artistico arrivò fino a Matsumoto che si vergognò così tanto di averle dato i natali che cancellò il suo nome dai registri delle scuole.
Oggi è l’artista vivente più celebre e quotata al mondo.
Non è morta quando si buttò dalla finestra a New York, non è morta contro l'oscurantismo giapponese e non è morta contro la discriminazione sessista e razzista radicata nei circuiti artistici all’avanguardia americana.

Tutti conoscono Yayoi Kusama come la regina degli infiniti pois, ma le sue espressioni artistiche di fine anni sessanta avevano una carica davvero rivoluzionaria.
Sua ad esempio l’idea di celebrare il primo matrimonio gay a New York nel 1968 durante un happening in un loft a Manhattan, con una trasgressiva messa in scena della sua Church of Self-Obliteration, collettivo di performer hippy. (QUI l'articolo da Phaidon)
A Tokyo c’è un museo totalmente dedicato a Kusama, di una bellezza commovente. (QUA)
E come lieto fine posso dirvi che la città di Matsumoto ha fatto pace con lei.

Gtvb

Se volete conoscere meglio questa straordinaria artista, possiamo andarci
insieme: dal 22 aprile al 1 maggio il tour Rainbow Roll propone molte mete alla scoperta della queer culture giapponese, basta cliccare QUI

Foto di copertina: Eikoh Hosoe/Courtesy of Ota Fine Arts, Tokyo/Singapore; Victoria Miro, London; David Zwirner, New York