LA PRIMA VOLTA

Il primo incontro con il Giappone. Qual è stata la vostra reazione?
Ecco la mia, quando non c’erano gli smartphone e i tablet, quando i tassisti si perdevano e i giapponesi compravano mille ciondoli per il cellulare. Correva l'anno 2009.
Buona lettura “vintage”.

Sono le 5 del mattino e sarà il fuso orario o l’eccitazione, ma di dormire niente. Sono a Tokyo, sono in jet lag, che per me non è ancora chiaro cosa sia.
Approfittiamone per buttare giù due pensieri del primo giorno, che a mio avviso ha già avuto due siparietti degni di nota.
Il viaggio è andato bene, erano anni che non prendevo un aereo con la televisione e con tante file per i passeggeri.
La partenza mi fa sempre specie, un po’ perché mi arrivano i testicoli in gola, poi perché sudo come un cavallo e mi vergogno di bagnare il “copri poggiatesta” di carta riciclata dell’Alitalia!
I Giapponesi appena salgono su un mezzo di trasporto dormono, io di fianco ne ho uno narcolettico che legge un libro che si chiama “book”, che essenzialità anche nella letteratura!
Appena partiti ho subito chiesto alla mia compagna di viaggio Piera se si intravedeva Gallarate dall’alto, pare sia bellissima!! :-)
Mento. Io ho paura degli aerei. Non guardo mai da nessuna parte, solo il monitor con la mappa.
Ci abbiamo messo quasi 13 ore, però abbiamo avuto la fortuna di vedere il monte Fuji.
La Piera ha iniziato a stare male quando eravamo sopra Osaka, in effetti c’erano alcuni vuoti d’aria. Ho cercato di tranquillizzarla, le ho lasciato anche il mio sacchetto per il vomito, poi mi sono alzato, sono andato in bagno e mi sono dato fuoco.

L’atterraggio è stato perfetto e anche il passaggio alla dogana.
I giapponesi sono dinamici, solerti e veloci. Certo c’è questa cosa che devi lasciare le impronte digitali che fa un po’ delinquente, certo c’è questa cosa che ti fotografano gli occhi che fa un po’ “aiuto mi stanno rubando l’anima” però ti senti protetto.
Qui vige il motto “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, nel caso ti caviamo gli occhi”.

Comunque siamo riusciti a far passare 2 punte di Parmigiano Reggiano spacciandole per due spazzolini da denti.
Ad aspettarci all’uscita c’è la mia migliore amica giapponese, la mia sorella orientale: “Mia San”.
L’ho conosciuta nel 1999, agli albori di internet, su un sito di “amici di penna”.

Sul Limousine bus che ci porta verso Tokyo l’atmosfera è surreale, dietro di noi una donna giapponese truccata con tre strati di cerone ed un rossetto rosso dorme con la bocca aperta e sbatte la testa sul finestrino, secondo me è stata appena assassinata da quello dietro, che invece continua a piangere. La carovana dei matti.
Mia San cerca di tenere gli occhi aperti e appena mi giro verso di lei, è pronta sull’attenti per rispondere a qualsiasi domanda.

“Mia dove siamo?”
“ Cosa?”

Un cartello verde dell’autostrada indica Chiba.

“Siamo a Chiba giusto?”
“Sì”

E’ una guida impeccabile. :-P

L’autostrada non è qualcosa di futuristico, io mi aspettavo scenari alla Blade runner, invece mi sembra di essere a Pontecagnano, con le piante verdi e i cespugli un po’ radi ai bordi della strada.
Dopo un’oretta e mezza però tutto prende forma, gli hotel diventano mega- giganti, le sopraelevate s’intrecciano come in un quadro di Pollock.
Iscriversi a scuola guida a Tokyo dev’essere una specie di master in fisica quantistica.
Arrivati alla stazione di Shinjuku chiedo dove si può fumare, ma in Giappone per strada non si può. È una regola famosissima, ma credo anche un gesto di sopravvivenza.
Immaginati milioni di persone fumare, immaginati milioni di bambini bruciati dai mozziconi lanciati per aria. Sembra l’incipit di un racconto dell’orrore.

Mia San si fa prendere subito dall’attacco “rendi felice un ospite o ucciditi sul posto” e ci porta dal Mcdonald’s…perché lì si può fumare!!
Carichi come dei muli iniziamo ad attraversare la strada principale, io sembro un Re Magio mentre la Piera assomiglia alla morte del cigno.
Non siamo stanchi, facciamo solo finta.
Arrivati davanti al “Mecdonarudu”(come lo chiamano i Giapponesi) saliamo al secondo piano e praticamente occupiamo quattro tavoli tra borse, valigie, computer, scoprendo che dalle 11 alle 14 non si può fumare.
I commessi del Mcdonald’s ci guardano male, ma sono gentilissimi, ti danno il benvenuto quando entri, ti sparecchiano, ti sorridono. In Italia ti ruttano il menù alla cassa e se chiedi un “happy meal” ti mandano a cagare perché hai superato i quarant’anni.
Niente fumo! Meglio così.
Si va verso la “Sakura House”, una delle agenzie più famose del Giappone dove affittare appartamenti a buon mercato.
Arriviamo puzzolenti e carichi come degli ossessivi compulsivi all’Ikea, ad accoglierci un ragazzo giapponese un po’ trendy con delle unghie delle mani che si presentano così: pollice lunga, indice corta, medio corta anulare lunga, mignolo corta.
Meglio non indagare sulla sua manicure.
Mr. Sakura house inizia a farci domande in giapponese, poi capisce che siamo italiani e ci chiede se sappiamo il francese.
Piera risponde che sa anche il latino e il greco, ma che preferirebbe parlare in inglese.

Io inizio a sparare un raffica di “yes, oh yes” anche alla domanda: “Vuoi subaffittare o portare persone estranee in casa senza permesso, intendi farlo?” io ho risposto: “yes, oh yes”.

Mr. Sakura house però non ha pena per noi. Nonostante il nostro lungo viaggio, continua a farci il terzo grado.
Io e la Piera sembriamo i cuginetti di Zio Tibia, iniziamo a perdere i capelli e a puzzare di cane morto.
È durata un’ora la consegna delle chiavi. Con tanto di inchino e disegno della mappa.
Ecco l’incubo giapponese. Non esistono indirizzi. Le case e i negozi devi trovarteli da solo, manco fossi un pirata alla ricerca del tesoro sepolto.
Puoi farti aiutare dalle stelle oppure seminare briciole per terra, ma stai pur certo, in Giappone ti perderai. È la regola.

"Allora prendete la strada cippa lippa dori, poi c’è un panettiere e due cartelli orange”.

Mia San: "Orange come arancia"
Io: "Si beve?”

Piera: “Ma no cretini sono due cartelli”

"Poi girate a destra dopo cartelli aranci, anzi no, tornate indietro, c’è solo un cartello arancio, forse è giallo".

La Piera inizia ad innervosirsi e con l’intercalare “minchia” strappa le chiavi della casa al nostro logorroico dipendente della Sakura House.
Meglio prendere un taxy. Mal che vada finiremo su qualche tangenziale a girare a vuoto. In Giappone i taxy sono costosissimi, non hanno la più pallida idea cosa sia l’orientamento e tendenzialmente girano a vuoto sperando di imboccare la strada giusta.

Dopo un quarto d’ora, il nostro tassista ci dice che non riesce a trovare il cartello arancio.

Ecco. Moriremo su questi sedili posteriori che tanfano di canfora e spenderemo tutto per riportare indietro le nostre salme in Italia.

Mia San un po’ mortificata continua a domandare al tassista di ripigliarsi, perché non può fare brutte figure davanti agli ospiti arrivati dall’Europa.
Noto l’intercalare della mia amica nipponica. Da quanto ho capito il loro “ehm come dire” lo traducono “ano”.

Mia San mi guarda sempre più avvilita e mi dice: “Tassista adesso ano, forse lui trova ano”.
La Piera mi guarda sempre più incazzata e mi dice: “Minchia”
È un susseguirsi di ano e minchia. Sembrava il doppiaggio di un film porno.
Dopo trecento giri dell’isolato, sono sceso a piedi e ho riconosciuto la casa. Abbiamo pagato 50 Euro di corsa, mandato cortesemente a quel paese il tassita e festeggiato finalmente il nostro arrivo.
Dopo un trenino e un AEIOUY siamo riusciti a portare le valigie fino al quarto piano.
Il nostro appartamento è molto grande. Ci sono tre camere da letto, un grande bagno, un salotto con una cucina a vista e due terrazzi.
Abbiamo visto anche la nostra coinquilina che ci ha salutati con “Hi” e poi è corsa subito in camera a nascondersi. Vabbè che puzziamo, ma anche tu mi sa che non sei molto pulita.

  • C’è polvere ovunque
  • Dentifricio e capelli nel lavandino.
  • E’ una falsa bionda perché nella doccia ci sono peli neri
  • Lascia bottiglie di vino mezze aperte ovunque.
  • Appoggia gli elastici per i capelli nei piatti
  • Adora “Hello Kitty

Non sappiamo nulla invece dell’altra/o abitante della casa. E siamo qui solo qui da dieci minuti.

Il gabinetto ha l’asse che si riscalda, con il bidè incorporato, con tanti tasti per te e tuoi amici “stronzetti” che galleggiano! Dobbiamo ancora testarlo, per ora ci teniamo tutto dentro perché non abbiamo ancora capito qual è il tasto per lo sciacquone.
Mia San cerca di curare il nostro jet lag facendoci mangiare un tempura buonissimo vicino casa, ci ha spiegato anche le buone maniere e ci ha detto di non soffiarci il naso in pubblico.
Nel nostro quartiere girano personaggi bizzarri. Le ragazze sembrano montate al contrario. Hanno le scarpe di due taglie più grandi, i piedi storti e guardano il cellulare sempre un po’ assenti.
I ragazzi sono dei tamarri inauditi. Dov’è tutta quell’eleganza che si vede sulle guide, dove sono le donne in kimono e l’essenza zen?
Meglio andare a fare la spesa. Ci serve la carta igienica e un anti calcare.
Mia san ci fa scoprire i Konbini, supermercati giapponesi aperti 24h nonché dimore di zuccheri sintetici e cibi a lunga scadenza.
Io e la mia compagna di viaggio siamo impazziti. Ecco cosa abbiamo comprato?

1) Biscotti a forma di orsetto
2) Caramelle a forma di gatto
3) Yogurt al gusto di fragola
4) Caramelle a forma di panda
5) Una spugna rosa
6) Cioccolatini al the verde
7) Liquidi colorati

Sono le cinque del mattino. Ripeto, io e la mia compagna di viaggio siamo impazziti.
Però sappiamo che il supermercato è ancora aperto.
Se volete trovarci scendete alla fermata Yoyogi Hachiman. :-)


GTVB

"Gabry dal terrazzo si vede il gabinetto del nostro vicino"
"Beato lui che sa usarlo!"