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IL JEDI DEL GIAPPONE (Intervista ad Antonio Moscatello)

Antonio Moscatello è un giornalista dell'agenzia di stampa Askanews, profondo conoscitore del mondo asiatico, si è laureato all'Orientale di Napoli per poi trasferirsi a Sapporo.
Ha vinto il premio Umberto Agnelli per il giornalismo ed è pure stato inviato nei conflitti in Medio Oriente.
Ma, oltre alla passione per il Giappone, quello che mi lega ad Antonio è un piccolo comune della provincia di Foggia. Lui e mia madre sono compaesani e credo che se scavassimo a fondo nei nostri alberi genealogici sicuramente troveremmo un grado di parentela.
Parlare con lui è come vivere nella saga di Star Wars, conosce storie, usi e costumi di tutte le ere del Sol levante. È un po' come imparare da Yoda o allenarsi con Obi-Wan Kenobi.
Questa è la nostra chiacchierata, un salto alla velocità della luce dall'epoca Heian fino ai giorni nostri.

Partiamo subito con uno degli aneddoti più curiosi del tuo terzo libro: (Forse Non tutti sanno che in Giappone) l’origine aliena dei giapponesi. A supporto di questa tesi anche la testimonianza di un personaggio bizzarro che citi nel libro: Miyuki Hatoyama, moglie dell’ex primo ministro Yukio Hatoyama, che pare sia stata rapita dagli alieni e portata chissà dove.

«Miyuki Hatoyama è un personaggio fantastico. Come hai detto è la moglie dell’ex premier, il primo del Partito Democratico a rompere l’egemonia del Partito Liberal Democratico.
In alcune interviste e nella sua autobiografia, racconta di aver avuto in gioventù un’esperienza di terzo tipo con tanto di rapimento dai parte dei Venusiani.»

Ma com’è nata la teoria dell’origine aliena?

«Nasce dal ritrovamento in varie parti del Giappone di alcune Dogū, statuette di terracotta che apparentemente hanno indosso scafandro, occhialoni e casco da astronauta.
Si possono vedere al Museo Nazionale di Tokyo e hanno suscitato la curiosità di molti semplici appassionati, ma anche quello di scrittori fantastici come l’italiano Pier Domenico Colosimo alias Peter Kolosimo, pioniere dell’archeologia misteriosa.
Sono nate così un sacco di teorie sull’origine aliena di queste statuette e c’è chi ha persino sostenuto che la Nasa avesse disegnato i caschi degli astronauti ispirandosi proprio ai Dogū.
In realtà non c’è certezza sulle origini etniche del popolo giapponese. Sappiamo di certo però che – con buona pace dei cultori della mono-etnicità – ha una natura composita e che è un melting pot di genti arrivate da ovest, da sud e da nord alla ricerca di cibo. A raccontarcelo sono, ad esempio, i ritrovamenti di resti di Mammuth giunti qui dalla Siberia attraverso un ponte di terra che collegava le isole settentrionali al continente.
E l’antico popolo Ainu è una testimonianza vivente di questa articolazione etnica».

Forse non tutti sanno che in Giappone Moscatello

Nel tuo libro parli molto delle donne e del loro ruolo nella società. Ci sono figure femminili nella storia e nella cultura giapponese che ami in modo particolare?

«Ce ne sono tante… Ci sono guerriere, imperatrici. Non saprei chi scegliere. Sono molte le figure femminili che mi affascinano».

Puoi anche dire Sailor Moon… :-P

«Probabilmente le due donne più affascinanti dell’antichità giapponese sono Murasaki Shikibu e Sei Shōnagon. Due grandi scrittrici e pilastri della letteratura del Periodo Heian (794-1185).
Dama di corte e fine osservatrice dei fatti, a Murasaki dobbiamo
Genji monogatari (La storia di Genji), il primo romanzo della storia dell’umanità.
Vissuta anch’essa a corte, Sei Shōnagon ha scritto
Makura no sōshi (Note sul Guanciale), una raccolta di indicazioni su quello che bisognava e non bisognava fare e dei pettegolezzi di palazzo. Raffinate nel loro pensiero, erano però invidiose l’una dell’altra e si detestavano».

Come racconti nelle prime pagine, anche la divinità del sole è una donna. La famosa Amaterasu.

«Infatti, nella mitologia giapponese le donne hanno un ruolo centrale. Amaterasu è la progenitrice di tutta la stirpe imperiale.
Una dea quasi umana, permalosa e dispettosa.
Una delle storie più curiose che la riguardano è legata all’eclissi lunare. Amaterasu, offesa dal comportamento del fratello Susanoo – dio della tempesta – si rinchiuse dentro una grotta e lasciò il mondo al buio. Per stanarla e far tornare la luce, gli altri dei del cielo elaborarono insieme un piano con protagonista Ame-no-Uzume-no-Mikoto, dea della danza, delle risate e dell’alba.
Così, dopo aver appeso uno specchio fra i rami di un albero proprio fuori dalla grotta, Uzume iniziò a ballare in modo sensuale provocando negli altri dei che assistevano allo spettacolo una reazione molto chiassosa.
Incuriosita dalle risate e dalle grida di incitamento, Amaterasu uscì dalla grotta e si vide riflessa nello specchio. Lì per lì non si riconobbe e pensò di trovarsi di fronte ad una dea ancora più splendente di lei. Approfittando di questo istante di incertezza, venne quindi catturata e il sole potè così ritornare».


Torniamo sulla terra. Uno dei capitoli più interessanti è quello sull’incontro tra il generale Douglas
MacArthur e l’imperatore Hirohito alla fine della Seconda guerra mondiale.
È stato un po’ uno spartiacque per la storia del Giappone.

«La fine della Seconda guerra mondiale segna per il Giappone la sconfitta più dura della sua storia. Per la prima volta il Paese è sotto occupazione militare, cosa che neanche ai fortissimi mongoli era riuscito fare.
A seguito della resa l’imperatore aveva dovuto rinunciare al suo carattere divino. Ma perché il decadimento del suo status sia chiaro bisogna dare un messaggio forte. E questo messaggio viene comunicato attraverso un’immagine potente e terribile: una foto che ritrae il generale MacArthur accanto all’imperatore Hirohito. Il primo non ha una posa particolarmente impettita ma, nella sua normale divisa, risulta comunque alto e possente. Il secondo, bassino e con un abito logoro, appare come uno che la guerra l’ha vissuta e subita, anche se da dentro il palazzo imperiale. Questa fu un’immagine scioccante per il popolo giapponese.
Per i giapponesi infatti anche l’immagine dell’imperatore ha carattere sacro.
E, a questo proposito, anche quella della foto dell’imperatore Meiji è una storia curiosa.
Per lungo tempo i giapponesi hanno creduto di venerare un fedele ritratto fotografico mentre in verità si trovavano di fronte a una perfetta incisione.
Siamo alla fine del 1800, quando il Giappone entra nel consesso delle nazioni occidentali e si pone la necessità di avere un’immagine ufficiale dell’imperatore da presentare a notabili e militari stranieri. Meiji però non vuole farsi fotografare e così affidano l’incarico di realizzare un disegno realistico al principale incisore presente sul mercato mondiale: l’italiano Edoardo Chiossone, già da tempo a Tokyo per fondare e dirigere il nuovo Istituto Poligrafico del Ministero delle Finanze.
Il suo lavoro è fatto così bene che quel disegno viene distribuito in tutte le scuole e uffici pubblici ed è così perfetto che tutti credono sia una fotografia».

Nel libro parli anche degli scrittori suicidi. Perché questi scrittori erano “devoti” all’idea del suicidio?
È questo un tema molto attuale: mai come quest’anno c’è stata una grande moria fra cantanti e attori. Secondo te è stato un caso?

«Bella domanda. È vero, ci sono stati molti suicidi recenti nel mondo dello spettacolo. E nella seconda metà dell’anno c’è stato un picco in particolare fra le donne.
Non saprei dire perché in certi periodi storici capita che alcune persone dotate di particolare sensibilità, come i poeti o gli artisti, decidano di cedere la vita.
Probabilmente è una conseguenza dell’incertezza legata a profonde transizioni, quando un mondo vecchio scompare ed emerge un mondo nuovo».

Spesso si tolgono la vita persone all’apice del successo. Può essere che non riescano a reggere un certo tipo di pressione? Penso alle idol costrette a una vita super regolamentata...

«Nel caso degli scrittori non credo. Mishima e Akutagawa avevano qualcosa che li struggeva dentro.
In Mishima il tema del suicidio è stato parte integrante della sua opera e la messa in scena della sua stessa morte il culmine di un percorso etico ed estetico.
Akutagawa invece aveva mille malattie ed era profondamente depresso. Quindi il suo gesto è stato, forse, il porre fine ai suoi dolori.
Tornando ad oggi, non so quanto la pressione e la paura di perdere il successo in un mondo competitivo come quello dello
show-business, incidano sulla scelta di togliersi la vita.
Credo però ci sia una maggiore propensione al suicidio fra quegli artisti che vedono emergere scenari i cui parametri di giudizio cambiano e a cui non si sentono di appartenere».

Giappone e Corea si guardano da sempre in cagnesco. Negli ultimi anni mi sembra che la Corea del Sud abbia soppiantato nell'immaginario occidentale quello che era il mito del Giappone affermando il proprio brand. Penso al successo planetario della K-pop, ai colossi tecnologici come Samsung, alla diffusione sempre maggiore di ristoranti, alla significativa offerta cinematografica su piattaforme come Netflix. Credi che il Giappone stia diventando meno "cool" e si sia un po' chiuso in se stesso?

«Chiaramente la struttura demografica del Giappone incide: è un paese sempre più vecchio, il paese con più centenari al mondo, al quale oggettivamente non si può chiedere il dinamismo caratteristico di società più giovani. I vecchi sono sempre più conservatori, sempre meno aperti al mondo. Con le dovute eccezioni, naturalmente. Tuttavia starei attento a considerare il Giappone fuori moda. Parliamo della terza economia del mondo, di un paese capace di investire molto anche sulla sua immagine, che conta di flussi turistici (e vedremo con la ripresa del turismo post-covid se ci sarà un rimbalzo) cresciuti in maniera esponenziale nell’ultimo decennio. Nel caso del Giappone, rispetto alla Corea del Sud, ad attirare gli stranieri è il complesso dello stile nipponico, non solo uno o due aspetti. Ci sono due generazioni cresciute su prodotti della cultura popolare nipponica in Occidente, quindi il Giappone è tra noi e ci resterà ancora a lungo».

Megumi Antonio Moscatello

Nel tuo secondo libro racconti la storia di Megumi, la ragazza giapponese rapita dalle spie della Corea del Nord alla fine degli anni 70.
Hai spesso parlato su Askanews di un summit tra Abe e Kim Jong Un sulla questione dei rapimenti. C'è mai stata una soluzione o almeno una luce in fondo al tunnel?

«Quando nel 2001 Koizumi incontrò Kim Jong Il, riuscì a ottenere l’ammissione - sia pur con termini ambigui - dei rapimenti e, in seguito, riuscì a riportare cinque dei rapiti giapponesi in patria. Credo che, dopo questo, non ci sia più stato un momento in cui la liberazione di Megumi e degli altri rapiti sia stata vicina. Abe ha tentato di proporre un summit con Kim Jong Un, che però ha risposto picche. Per i nordcoreani gli altri rapiti, a partire da Megumi, sono morti. Ma non hanno mai fornito prove conclusive della loro affermazione.
Ora tocca a Suga provarci e ha già promesso ai familiari dei rapiti, in alcuni casi ormai molto anziani, che lo farà. Con scarsissime possibilità di riuscita, secondo me.
Dispiace tra l’altro che Shigeru Yokota, il papà di Megumi che ha lottato per tutta la vita per rivederla, non ci sia più: è morto quest’anno. Unica consolazione, ha potuto conoscere in un breve incontro la nipote, figlia di Megumi, e la pronipote, perché intanto Megumi è diventata nonna, anche se nell’immaginario collettivo continua ad essere una fanciulla di 13 anni».

Il Giappone è famoso per l’ordine, per l’efficienza e, ahimè, anche per l’omologazione. A volte sembra dimenticarsi delle minoranze.
È l’unico paese del G8 a non avere una legge sulle unioni civili e in passato non è stato molto inclusivo verso i disabili (Abe disse che i lavoratori disabili sono più inclini agli errori).

«È vero, c’è una certa tendenza all’uniformità in tutte le culture di origine confuciana. È un fatto che esiste anche in Cina e in Corea.
Ma, come tutti i Paesi del mondo, anche il Giappone è nel flusso dei cambiamenti globali e la sua società è in mutamento.
A volte siamo noi osservatori a cristallizzarli negli aspetti più peculiari della loro cultura e non riusciamo a coglierne l’evoluzione.
Per quanto riguarda il tema della disabilità, devo dire con molta franchezza che è più facile una vita in sedia rotelle in Giappone che in Italia. E in vista delle Olimpiadi sono stati fatti molti lavori per adeguare la città ed eliminare molte barriere architettoniche».

Dove trovo Antonio Moscatello in Giappone?

«In giro per Sapporo».

101 cose da fare a tokyo e in giappone almeno una volta nella vita


In questi giorni esce il tuo nuovo libro "101 cose da fare a Tokyo e in Giappone almeno una volta nella vita"
Puoi anticiparci quella che secondo te vale un viaggio?

«Sono 101...è difficile. Allora ti dirò la 102°.
Viaggiare e farlo da soli. Perché la condizione necessaria per fare un bel viaggio è che il viaggio sia doppio: nello spazio esterno e in quello interiore. E l’esperienza di conoscere un paese come il Giappone con la mente e il cuore aperti è impagabile.
Essere curiosi, attaccare bottone, persino scroccare cene, che è una delle 101 cose che consiglio di fare nel libro. Viaggiare da soli, anche se non si è mai davvero soli, è un’esperienza che consiglio a tutti, perché aiuta proprio a esplorare questa doppia dimensione».


C'è anche "scalare il Monte Fuji"?

«C’è. Poteva forse mancare?»


Allora che la forza sia con me!

Gtvb