Osaka nel 2025 ospiterà Expo. Speriamo che la fila per vedere i padiglioni non sia lunga e snervante come quella di Milano. Vi porto a scoprire uno dei simboli della città: il castello.
(dove ahimè non ci sono principesse)
Buona lettura.
La mia amica Piera non si sta molto gustando questo viaggio, l’Hotel Raizan sta mettendo a dura prova la sua sanità mentale…e ahimè anche la sua condizione igienica.
Io tengo botta.
Ho fatto la doccia in punta di piedi, nonostante avessi le ciabatte e mi sono cosparso di Amuchina per evitare infezioni batteriche.
Non sono andato in bagno, perché proprio non ce la faccio. Al solo pensiero di quel buco per terra mi vengono i brividi e poi quell'odore di canfora e piedi mi butta indietro.
Piera invece ha fatto il contrario, si è scaricata tranquillamente, ma non si è lavata perché dice che il soffione della doccia non ha tanti getti come quello di casa sua. :-P
La nostra colazione è a base di Kit Kat al gusto the verde e caffè freddo in lattina della macchinette.
“Amico lo sapevi che il the verde è un antiossidante naturale?”
“Sì, ma non quello che stiamo mangiando noi”
“Dici che riusciremo a tornare in Italia?”
“Possiamo conquistare il Castello di Osaka e vivere come i damiyō giapponesi?”
“E come vivevano?”
“Ti sembro Wikipedia?”
Il cielo è azzurro, però fa freddino ai piedi del castello.
Mi chiedo come facessero all'epoca i samurai con quelle vestagline miserine a resistere a queste temperature. Forse era la passione del grande Toyotomi Hideyoshi a emanare calore. Vero leader e trascinatore di folle. Era riuscito a convincere centinaia di migliaia di ragazzi a seguirlo nella sua impresa: riunificare il Giappone e battere i clan nemici.
Il Castello di Osaka era stato scelto come simbolo di questa impresa.
Non era certo un simpaticone Toyotomi, pare che collezionasse nasi mozzati e che fece crocifiggere dei gesuiti, ma abolì la schiavitù, unico punto a suo favore.
Secondo voi Piera mi sta ascoltando? No! Sta guardando le vetrine dei negozi di vasellame.
Quando Toyotomi morì, le truppe del clan Tokugawa attaccarono il povero castello e lo rasero al suolo.
Teste di miso! Con tutto il tempo che ci è voluto per costruirlo! Non potevate assediarlo e basta? No, sempre a fare i barbari e a distruggere.
Ma si sa, i regnanti sono viziati e viziosi. Dopo cinque anni dalla conquista del castello, Hidetada Tokugawa, secondo Shogun del clan, decise di ricostruirlo.
E allora sei scemo dove ti pettini. Avevi già delle basi solide, perché richiamare architetti e muratori? Sai i soldi che avresti risparmiato!
Ma il karma è vendicativo, perché anni dopo un fulmine colpì la torre principale che s’incendiò mandando tutto il lavoro di anni in fumo, compreso le Malm dell’Ikea con tutti i kimono preziosi. :-P
“Senti, mentre tu parli da solo io mi compro questi Takoyaki”
“Piera stai attenta, sembrano polpettine innocenti, ma dentro hanno…”
Manco il tempo di dirlo ed ecco la mia amica sputare fuoco e sentenze.
I takoyaki sono polpette di farina di grano con all’interno del polpo. Dentro sono incandescenti, perché oltre al mollusco sono ripiene di lava.
Il Castello di Osaka non è stato molto fortunato, ci vollero quasi trecento anni per rimetterlo a posto. Forse nessuno voleva sobbarcarsi spese così alte.
Sopravvisse a stento alla seconda guerra mondiale e negli anni novanta finalmente assunse l’aspetto di un vero castello giapponese.
È pregno di storia, bianco e verdino. C’è un museo al suo interno e pare che sorga sopra un tempio sacro, almeno così dicono i libri di storia.
“Non è che possiamo andare in farmacia a comprare una crema per le ustioni di terzo grado?”
“Ma voglio stare qui a contemplare il castello”
“Fenti io parlo come una Fema, ho perFo l’uFo della eFFe”
“Fì, ti accompagno, però facciamo prima un giro nel parco?”
“E non prendermi in giro!!!!!”
“Fì!”
Osaka mi aveva promesso qualcosa di bello. Non era il cielo azzurro o vedere contorcersi dal dolore la mia compagna di viaggio per colpa dei Takoyaki, voleva regalarmi qualcosa di diverso.
Dovevo solo leggere fra le righe.
“Piera, prima camminando ho visto delle tende azzurre”
“Dove?”
“Vicino al parcheggio dei bus”
“Vuoi fare campeggio?”
“No, voglio scoprire come mai sono lì”
Erano senzatetto. Come temevo.
È la prima volta da quando sono in Giappone che provo un senso di tristezza.
Anche loro sono ordinati, qualcuno davanti alle tende ha ricreato un giardino con delle piantine grasse e delle seggioline rotte.
Sono silenziosi. Non ci notano nemmeno.
C'è una ragazza occidentale che gira tra le tende consegnando bento confezionati e coperte.
Dopo cinque minuti si è avvicinata a noi. È canadese.
Dice che viene spesso a trovarli, perché è di strada e fa parte di un’associazione di volontari che aiuta i clochard in Giappone.
Dice che sono sempre stati un fenomeno invisibile, quasi una seccatura per il governo.
Alcuni sono figli della grande bolla, il crack economico che esplose negli anni 90 a seguito delle speculazioni immobiliari.
Serena, così si chiama la volontaria, porta spesso piatti caldi e a volte anche dei quotidiani. Conosce i loro nomi a memoria e prima di salutarli li tocca sulla spalla, quasi a dire "dai che andrà bene".
Anche con noi ha fatto così, lasciandoci svuotati.
Osaka mi avevo promesso questo, di mostrarmi un gesto umano, raro e prezioso.
Gtvb