Il terzo giorno a Tokyo credi di aver capito tutto. Poi arrivi a Shinjuku e tutte le tue sicurezze svaniscono.
Era l'anno 2009, in un tranquillo giorno di Marzo.
Buona lettura.
Stamattina…anzi all’una, mi sono svegliato con la Piera che chiedeva scusa al nostro coinquilino (quello invisibile).
Ieri sera ci siamo fatti proprio i fatti nostri. Abbiamo ululato alla luna, chiamato tutti i nostri amici su Skype, fritto alle tre di notte, giocato a palla e zabettato con la vicina.
Finalmente l'abbiamo conosciuto è un fotografo americano di bell’aspetto, che fa gli occhi dolci alla mia amica.
“We are very sorry for yesterday, we have jet-lag”
Che scuse da balorda, diglielo che siamo eccitati e non teniamo a freno i nostri portafogli, che vogliamo morire di salmonellosi a furia di ingurgitare sashimi e che vogliamo fare un corso per diventare delle maiko. Diglielo che siamo dei nerd travestiti da persone serie, che ruttiamo per strada a furia di bere Coca Cola Zero.
Vabbè presentiamoci.
“Nice to meet you, I’m Gabriel”
Gabriel? Sono mica Garko.
Solo che gli stranieri fanno fatica a pronunciare il mio nome, manco fosse una cittadina dell’Islanda.
Di solito ti guardano straniti e ripetono: “Gabb…rrbbrii…elle?”
“Con una L sola”
“Gabbbrile”
“Chiamami come vuoi”
“Gabrielle!”
Ora sono diventato un’attrice delle Soap Opera messicane.
Dicevamo, il nostro coinquilino si chiama Patrick e ci ha detto che Kyoto è bellissima,( senza che nessuno gliel'avvese chiesto) che a Shinjuku ci sono i ragazzi pettinati come Bon Jovy e che le ragazze sembrano tutte delle lolite sexy.
“Do you like japanese girls?”
“No, I dont’ like, because assomigliano a Cindy Lauper”
Ride sempre. Secondo la Piera per il mio inglese maccheronico.
“Patrick do you want Italian coffee?”
E ride.
Mò gli sputo nella tazzina.
“Gabriella Do you know Dina?”
“No! Chi è? E poi mi chiamo Gabriele”
“English roommate!”
Certo che la conosciamo, quella che ha infestato la casa di oggetti Hello Kitty, che non lava mai i piatti e che alleva cuccioli di Godzilla in camera sua.
“What dfkakdksfsksk?”
“Gabry non ho capito cosa ha detto?”
Ora cosa rispondo? Non posso fare la figura dell' Italiano medio. Meglio trovare una via di fuga.
“Guardate ragazzi dalla finestra si vede la Tokyo Tower!
“Gabry è un traliccio della luce!”
“Che te frega intanto si è affacciato dalla finestra e noi possiamo fuggire”
Ho in dotazione un cellulare giapponese. Ha solo tre tasti, uno per ricevere, uno per chiamare Mia San, l’altro per spegnere e accendere. Ovviamente non ho ancora capito nulla di come funziona.
Drin drin.
Suona veramente!!!!
“Ciao sono Mia san, noi vedere alle 15:10 a Shinjuku”
“Ok ma dove?”
“Yasukuni Dori”
“Zucchini???
“No! Ya-su-ku-ni dori!”
“Ah ok! Ora è tutto chiaro? Sta vicino a Piazza Navona?”
“No! Quella è Roma!”
“Era una battuta Mia San”
“Molto carina!”
“Come ci arriviamo?”
“Prendete treno ciao!”
La nostra casa dev’essere costruita sopra un nido di corvi, perché non mi capacito del bordello che fanno sti volatili.
“Piera, ma tu li senti?”
“Certo. Sono abituata a dormire con gli uccelli”
E dopo questa battuta che manco Cicciolina, siamo partiti alla volta di Shinjuku, nota a tutti come un labirinto mortale. Nella sua stazione transitano oltre 3 milioni di persone al giorno. Se ti perdi è la fine!
Noi siamo vicinissimi, solo tre fermate ci dividono dal tanto temuto quartiere. Neanche il tempo di abituarci al treno che boom…eccoci investiti da migliaia di giapponesi, salarymen, studenti, vecchine, operatori ecologici, parrucchieri, monaci, (sto sparando a caso) turisti e bambini.
E ora?
Mia san non ci ha dato nessuna informazione, nessuna uscita da seguire, niente di niente. Moriremo di stenti.
Drin drin
(mi piacciono le onomatopee)
“Arrivo, troviamoci a Lumine”
“Cos’è? Onoranze funebri?”
“No, centro commerciale!”
“Dov’è?”
“Cosa?”
“Lumine!”
“Ah! Est!”
Ripetiamo. Devo uscire dalla stazione andando verso est e cercare un grande magazzino con la scritta Lumine.
“Piera hai una bussola?”
“No, però qui vendono dei bellissimi portachiavi di Rilakkuma”
“E chi è?”
“Un orsetto carino”
Drin drin
“Io sono davanti a Lumine Est”
“Anche noi!”
“Non vi vedo”
“Neanche noi”
Ora cosa facciamo? Ci buttiamo sotto un treno o facciamo accattonaggio?
Drin drin
“Scusa cascata linea. Io sono a Lumine Est”
“Ma Est dove?”
“Est!”
“OK. Noi siamo a Lumine 1”
“Diverso. Lumine Est è un altro centro commerciale”
“Oh cazzo! E adesso come ci arriviamo?”
“Voi aspettate lì”
Finalmente dopo quaranta minuti ci ritroviamo tutti insieme allegramente.
“Shinjuku caotica”
“Caotica è Roma. Qui sembra l’Apocallisse! Ma non vi è mai venuto in mente di proporre al sindaco nomi per le vie?”
"No!"
Purtroppo Mia san ha solo un’ora di pausa, quindi ha solo pochi minuti per stare con noi.
“Io devo tornare in ufficio, ma non ricordo la strada”
“Sei seria?”
“Io mi perdo sempre a Shinjuku”
“Se vuoi ti portiamo io. Sono bravissimo a orientarmi”
E infatti prendendo vie a caso, girando in fondo a destra e rispettando la segnaletica, in men che non si dica ho trovato l’ufficio della mia amica giapponese.
“Bravo, pare che uomini siano più bravi…ano…perché in passato loro cacciatori e avevano senso di orientamento…ano”
“Credimi è stato solo questione di ano”
Sta roba dell’intercalare “ano” mi fa sempre molto ridere.
Abbandonati al nostro destino siamo finiti nel tempio Hanazono-Jinja.
Abbiamo pregato la dea della speranza di farci ritrovare la strada e poi abbiamo speso i nostri ultimi risparmi alla bancarella del monaco.
Qui regna il silenzio. Non c’è caos, urla e grida.
Shinjuku stupisce, di giorno è pandemonio, di sera conviviale.
Qui coabitano il quartiere gay con quello a luci rosse (Kabukichō) il piccolissimo Golden Gai (via di bar minuscoli) con i grattacieli ultramoderni. Gli hotel di lusso accerchiano il Palazzo del Governo, case minuscole stridono fra condomini alveari alti 20 piani.
Shinjuku è un dipinto futuristico. Trovi tutti e tutto.
Cerchi donne compiacenti? Qui ci sono.
Cerchi la pace interiore? Qui la percpisci.
Cerchi un uomo vestito da donna con la parrucca verde e magari lo Swiffer in mano? Lo trovi!
Ma come salvarci dai crampi della fame con pochi spicci in mano?
Ci pensa Kentucky Fried Chicken con il sue bel Menù pollo e Fanta al melone (che sa di Fluimucil) o a scelta Orange Juice (che sa di Polase)!
Io cerco di notare sempre i particolari. Una giapponese seduta di fianco al nostro tavola cercava invano di addentare delle alette fritte, ma le sue unghie lunghissime con strass, brillanti, diamanti, ciondoli a cuore, gemme preziose e persino una fetta di torta in miniatura le impedivano qualsiasi movimento normale.
Ci siamo addentrati in mille strade, trovato migliaia di negozi di trucco e parrucco.
Lady Oscar è testimonial di un prodotto di cosmesi. Ci sono il rossetto, i sali da bagno, il rimmel, le maschere di bellezza.
Io ricordo che quella voleva diventare un uomo e che schifava le cose da femmina.
Io e la mia amica Piera però non siamo ancora sazi. Abbiamo poche monetine. O le spendiamo in sala giochi o…ma cos’è quel degrado in lontananza?
Cosa fanno tutti quegli uomini seduti per strada.
Ecco un luogo tipicamente giapponese. Le bettole come quelle dei cartoni animati.
Costa tutto pochissimo e ti sfami con trecento Yen.
Si chiama Omoide Yokocho ed è un’esperienza da vivere. Poi fa niente se ti viene la leptospirosi, sei pur sempre a Tokyo, mal che vada rimpatrieranno la tua salma felice e contenta.
Shinjuku non dorme mai, per questo la mattina è un po’ nervosetta.
Però noi ahimè dobbiamo prendere l’ultimo treno per casa.
Ad aspettarci c’era la nostra coinquilina inglese: Dina.
Finalmente siamo riusciti a parlarci.
“Nice to meet you, I’m Dina and you?”
“Nice to meet you, I’m Gabriele”
“Gaabbbreelll what?”
Lo sapevo.
Gtvb